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Antonio Labriola


Note biografiche



Nato a San Germano (l’odierna Cassino) nel 1843 da Francesco Saverio e Francesca Ponari. Proveniente da una famiglia “patriottico-liberale” – il padre insegnava lettere nei ginnasi, la madre era imparentata con una famiglia nobile di Gaeta – compie gli studi secondari nel collegio dell’Abazia di Montecassino retta, sembra, da un abate di sentimenti liberali. Nel 1861 si trasferisce con la famiglia a Napoli per poter frequentare la facoltà di lettere e filosofia, ma non risulta che in seguito abbia mai conseguito la laurea. Le difficili condizioni economiche della famiglia lo costringono però ad integrare gli studi con una occupazione lavorativa.
Antonio Labriola a 26 anni
È per questo che il suo “maestro” Bertrando Spaventa e il di lui fratello Silvio, amici del padre, gli procurano nel 1863 un lavoro quale applicato di pubblica sicurezza presso la questura di Napoli. Gli Spaventa, interpreti di primo piano della scuola filosofica neohegeliana di Napoli, determinano un’impronta profonda e duratura nella formazione intellettuale del giovane Labriola. Nel frattempo inizia una relazione sentimentale con Rosalia von Sprenger, una tedesca di confessione evangelica, maestra di una scuola napoletana aperta dai protestanti residenti a Napoli, che sposa nel 1867 e da cui ha in seguito tre figli. Nel 1865 approda all’insegnamento di materie letterarie nei ginnasi. Divoratore di libri e già padrone della lingua tedesca, nel 1863 inizia la sua mai più interrotta carriera di scrittore con un libro (“Una risposta alla prolusione di Zeller”) in cui difende le ragioni di Hegel contro i propugnatori di un ritorno a Kant. Inizia così un lungo processo di maturazione teorica che nell’arco di circa un quarto di secolo lo porta dall’hegelismo all’herbartismo fino al marxismo; da una concezione dello Stato – oggetto costante della sua riflessione – in termini idealistici ad una in chiave materialistica. Nel 1871 consegue la libera docenza in filosofia della storia nell’ateneo napoletano, abbandona quindi il “penoso” lavoro di insegnante ginnasiale ed inizia un’intensa attività giornalistica, che lo vede tra il 1871 e il 1874 corrispondente del quotidiano di Basilea “Basler Nachrichten”, dei quotidiani di Napoli “Il Piccolo”, “Gazzetta di Napoli”, “Unità nazionale”, del quotidiano “Il Monitore di Bologna” e del fiorentino “La Nazione”. Contemporaneamente si cimenta per la prima volta anche in campo politico, militando nelle file della Destra Storica fino almeno al 1886, quando tenta una candidatura democratico-radicale alle elezioni politiche che poi non si realizza. Nel 1873 vince il concorso per la cattedra di filosofia e pedagogia dell’università di Roma, di cui è straordinario dall’anno dopo e ordinario dal 1877; anno durante il quale e fino al 1891 dirige anche il Museo di Istruzione e di Educazione del ministero della Pubblica istruzione.
Copertina de “Il socialismo”
conferenza tenuta a Roma nel 1889
A Roma, dove poi si svolge tutta la sua carriera accademica, ottiene la cattedra di filosofia della storia nel 1887 e quella di filosofia teoretica nel 1902. L’approdo a posizioni democratico-radicali, preceduto da un interesse teorico per le tesi del “socialismo giuridico”, lo porta a presiedere per qualche mese (1888) la sezione romana dell’associazione irredentista “Giovanni Prati” e a svolgere una più intensa attività nel Circolo radicale di Roma; di cui diviene anche vicepresidente nel 1889, quando tenta nuovamente in modo infruttuoso una candidatura alle elezioni comunali, prima di dare definitivamente le dimissioni con la famosa lettera aperta ad Ettore Socci (“Proletariato e radicali”) del maggio 1890. Definitosi «teoricamente socialista» fin dal 1887, il 1890 è anche l’anno in cui entra in corrispondenza con Engels e con Turati. Il rapporto con il leader milanese, intenso e prolifico fino all’indirizzo dei socialisti italiani al congresso di Halle della socialdemocrazia tedesca (ottobre 1890), scema tuttavia progressivamente per poi interrompersi in modo irreparabile ancor prima del congresso costitutivo del futuro Psi (1892). Il rigore teorico dell’anziano professore cassinese mal si conciliava con il socialismo non “marxista” del giovane intellettuale milanese.
Caricatura di Antonio Labriola
dall’“Asino”
Con Engels, che conosce di persona al congresso socialista internazionale di Zurigo, intreccia invece un intenso scambio epistolare durato fino alla morte del rivoluzionario tedesco. «Dimessosi» dalla politica e ritagliatosi il ruolo di “filosofo” del socialismo, prende a lavorare a quei famosi “Saggi” che lo consacreranno come l’unico marxista italiano del suo tempo di levatura internazionale. A partire dal 1895 esce così “In memoria del manifesto dei comunisti”, dell’anno dopo è “Del materialismo storico”, seguito nel 1897 da “Discorrendo di socialismo e filosofia”, tutti editi da Benedetto Croce, suo ex allievo, mentre il quarto e ultimo, “Da un secolo all’altro”, oggetto del suo corso universitario del 1900, rimane incompiuto per l’aggravarsi del cancro alla gola. Ricostruito da Luigi Dal Pane, sulla base degli appunti universitari di Labriola, viene pubblicato nel 1925 dall’editore Cappelli di Bologna. In contatto con i maggiori esponenti del socialismo internazionale e corrispondente di svariati organi socialisti, come la “Leipziger Volkszeitung” di Lipsia, prende posizione sulle maggiori vicende politiche italiane ed accentua la polemica contro il “socialismo positivistico” nostrano. Quando sul finire del secolo prorompe il dibattito sulla “crisi del marxismo”, innescata dalle posizioni revisionistiche di Bernstein, prende posizione in favore della validità della scuola materialistica, pur nella convinzione che il socialismo avrebbe conosciuto una lunga fase di pausa determinata dallo sviluppo capitalistico su scala mondiale, dall’emergere dell’Asia e del Pacifico e dal tramonto, dopo il Mediterraneo, anche dell’Atlantico. Di fronte ad un proletariato ancora in fasce e convinto che non si possano saltare periodi storici, ritiene che il socialismo debba assecondare l’opera ancora progressista dei paesi “attivi” nei confronti di quelli “passivi” pena, soprattutto per l’Italia, una nuova estromissione dal concerto delle potenze internazionali, come già avvenuto dopo il Rinascimento. Posizioni che lo portano ad appoggiare la politica coloniale del proprio paese in modo non dissimile dai maggiori interpreti del cosiddetto “marxismo” della II Internazionale. Sopraffatto dal male, nel 1903 sospende l’attività universitaria e l’anno seguente muore dopo un secondo intervento alla gola. 
Da “Un socialismo di rito Ambrosiano-Emiliano”, di Emilio Gianni, Edizioni Pantarei;
il testo è consultabile anche presso il sito dell’ABMO