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Spagna clandestina


Spagna clandestina


Arrigo Cervetto, “L’Impulso”, 25 settembre 1956;
ora in “Opere”, volume 2, Edizioni Lotta Comunista, 2017.
Nel ventesimo anniversario della Rivoluzione spagnola crediamo non vi sia migliore commemorazione che segnalare un documento tra i più vibranti che la storia di quella gloriosa epopea abbia prodotto. Non è un libro di storia, non è un documento ufficiale, forse servirà poco, domani, a chi si accingerà a sistemare storiograficamente una delle più importanti esperienze del proletariato internazionale. “Spagna clandestina” di Juan Hermanos, che l’editore Feltrinelli ha tradotto, è una specie di diario, una testimonianza individuale che un giovane spagnolo, celato sotto uno pseudonimo, ha voluto consegnare al mondo. Inizia quando la Spagna è ormai definitivamente dominata dal regime franchista e termina nel 1946, quando la battaglia di slancio e di speranza della nuova Resistenza si frantuma nella delusione provocata dalla posizione dell’ONU. Nelle pagine che annotano la vita di un gruppo di giovani antifranchisti durante questo periodo oscuro, ci si presenta una manifestazione di lotta che continua malgrado tutto, malgrado le centinaia di migliaia di caduti del triennio (1936-1939), malgrado le fucilazioni di massa all’avvento di Franco, malgrado l’esodo collettivo di tutti i combattenti antifascisti, significa restringere un fenomeno assolutamente nuovo in un termine che non gli è proprio. Non si può parlare solo di Resistenza; è necessario parlare di continuazione della guerra civile.
Dopo il 1939, la disfatta che aveva accompagnato così drammaticamente la lotta antifranchista pareva aver trascinato con sé ogni minima possibilità di opposizione. L’intervento massiccio di tutto l’imperialismo aveva perseguitato gli ultimi combattenti nei democratici campi di concentramento francesi di Vernet, mentre i boia fascisti entravano in azione ad Alicente e in tutte le carceri spagnole. Gli ultimi resti di una generazione distrutta si raccoglievano nell’America del Sud. Non un gruppo organizzato né un giornale, nemmeno un manifestino era rimasto. Se Hermanos non ci avesse trasmesso questa “Spagna clandestina” avremmo creduto che di clandestino in Ispagna vi fossero rimaste solo le esecuzioni notturne nei sotterranei delle prigioni.
Invece, ecco che lotta continua. Sono i giovani della nuova generazione, senza una ideologia precisa, senza un legame con l’estero, senza un contatto con alcun partito. Alcuni, come il coraggiosissimo Josè, combatterono con convinzione nelle fila franchiste, che abbandonarono disgustati quando dietro alla parola “Patria” sorse la realtà della restaurazione. Altri, studenti ed operai, erano troppo giovani per ricordare. Eppure si dichiarano rivoluzionari, impegnano tutta la loro vita nella lotta contro il regime, odiano tutto il sistema che questi rappresenta anche se non hanno una precisa visione politica e credono che la guerra delle Nazioni Unite contro il nazifascismo causi inevitabilmente la caduta di Franco. Il fatto che questi giovani, spontaneamente, abbiano riavviato la lotta è una dimostrazione di come la lotta di classe non sia uno schema da dottrinari o un effetti da predicatori, ma un fattore ineliminabile della realtà politica e sociale, una forza che sgorga ovunque e comunque dalle radici stesse di tale realtà.
Il libro ci narra, appunto, un episodio di questa lotta ad opera di un gruppo di giovani di cui lo stile rapido e felicissimo dell’autore ci fornisce le inconfondibili figure. Miguel il capo del gruppo, dinamico, deciso, acuto in certe situazioni; Maria Rosa, la sua silenziosa compagna, «angelo custode, piccola fata della rivoluzione»; Pedro, il giovane operaio marxista che svanita ogni speranza va a morire in montagna con i “guerrilleros”; Josè l’ex falangista, primo fra tutti nell’affrontare il pericolo; Marisa, Gloria, Marga, organizzatrici di gruppi femminili, preziose collaboratrici, studentesse, dattilografe, ragazzine eroiche, violentate, torturate uccise dagli aguzzini fascisti, magnifiche figure di un mondo oscuro nel contemporaneo costume del «lascia o raddoppia». Voglia la storia, quando l’albo d’oro di questa generazione che combatté e morì in silenzio si aprirà, scoprire la vergogna di tutti quei dirigenti che non vollero seguire un moto di solidarietà internazionalista, intenti com’erano, già allora, a forgiare, le “vie nuove” al socialismo. Voglia la ripresa rivoluzionaria del proletariato internazionale ridare una diversa soluzione alle considerazione amare dell’Hermanos: «E penso a Marisa morta per questo, martire per questo. Perché, perdio? Ho voglia di richiamarla, per dirle: non valeva la pena, tutta questa porcheria è stata orchestrata per rovinarci. Ci hanno rovinati. Siamo stati degli idioti. Abbiamo creduto alla libertà, al progresso ed erano inezie. A Truman importa un fico secco della libertà. Vuole mercati per i prodotti americani»…«Siamo arrivati fino ad  urlare di rabbia come lupi. Ho voglia di vomitare la mia disperazione. Senz’avvenire».


Anni e anni di lavoro organizzativo, di propaganda, di azioni di protesta, sacrifici, lentissima prova dei nervi, preparazione minuziosa per il giorno della resa dei conti. Quel giorno, nel 1946, arriva ed è l’ONU, questo covo di briganti, come l’avrebbe definito Lenin, a mantenere, con il suo voto, ancora in sella Franco. Alla firma dell’armistizio gli operai di tutte le fabbriche spagnole fermarono il lavoro. Il giorno dell’attesa del voto dell’ONU, ancora un migliaio di lavoratori di Bilbao occupano la fabbrica con le armi. «Senza il tradimento delle democrazie la nostra vittoria era sicura. Ma le democrazie, le democrazie ci hanno traditi». E come non poteva essere quando parte integrante della democrazia è proprio quella Chiesa che è al centro della dittatura spagnola? («Dovete sapere che in Spagna ci sono due dittature: quella del partito ufficiale e quella della Chiesa»).
Ma la delusione, come ha portato alcuni gruppi ad azioni disperate, così ha creato una nuova visione a cui si richiama la continuità di una lotta che in questi ultimi mesi ha dimostrato la sua presente vitalità. Per i giovani di oggi era storicamente necessaria l’esperienza dei loro fratelli maggiori che, come l’Hermanos, hanno chiuso il loro testamento politico con parole che possono sembrare di rinuncia ma che sono una caloroso monito a non ricadere in errori che anche noi in Italia dobbiamo meditare: «Non c’è più speranza. Siamo rovinati. Ecco come siamo ridotti in dieci anni di dittatura, coi loro discorsi e la polizia, le loro promesse e le loro finzioni. ecco cos’hanno fatto del popolo più coraggioso, più fanatico, più entusiasta della terra, ecco cos’hanno fatto dei nostri eroi, dei nostri guerrilleros, di tutti quelli che hanno rischiato la pelle per dieci anni, ecco come hanno ridotta l’avanguardia del progresso, degli ultimi resti dell’intellighentsia spagnola. Ecco cos’hanno fatto questi porci tutti insieme, democratici e camicie azzurre. Ecco cos’hanno fatto di noi oggi: dei vigliacchi».


Speciale 25 Aprile 2020: Introduzione    La Resistenza tedesca al nazismo